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ma dei carabinieri, al municipio, sulla piazza, e qua e là
per le strade, a Gagliano di Sopra e a Gagliano di Sotto,
finché venne la sera, la tunica dell angelo mi fu trionfal-
mente riportata, e ciascuno tornò alle sue case.
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Carlo Levi - Cristo si è fermato a Eboli
Lo sfogo poetico non calmò gli animi, né abolí i risen-
timenti. I contadini ritenevano il divieto una cosa assur-
da, e si rifiutarono di tenerne conto. Mi cercavano come
prima, per farsi curare: soltanto, venivano da me la sera,
a buio, e si guardavano attorno, prima di battere al mio
uscio, per assicurarsi che la strada fosse deserta, e non ci
fossero spie. Rimandarli senza occuparmi di loro mi era
praticamente impossibile, tanto insistevano, e tanto pe-
sava la ragione maggiore della necessità. Della loro asso-
luta segretezza e solidarietà ero certo: si sarebbero fatti
ammazzare piuttosto che tradirmi. Ma tuttavia la mia ar-
te medica si trovava per forza ad essere molto ridotta:
dovevo limitarmi a dei consigli; distribuivo io stesso le
medicine piú comuni di cui avevo fatto provvista; per le
altre non potevo scrivere ricette, o le facevo soltanto per
quelli che le mandavano a qualche parente, a Napoli,
perché le facesse spedire. Non potevo piú fare fasciatu-
re, né quei piccoli interventi chirurgici che, essendo visi-
bili, avrebbero rivelato a tutti il nostro segreto. Questa
necessità di nascondersi teneva gli animi accesi. La noia
era scomparsa dal paese: il divieto era cascato come un
sasso di fantasia nell acqua morta della vita monotona
dei signori. Il dottor Gibilisco trionfava. Fosse egli stato,
o no, il deus ex macbina (che non ho mai saputo), la sua
gioia era completa. I sentimenti del vecchio dottor Milil-
lo erano piú complessi e contraddittori. Dal punto di vi-
sta del suo orgoglio e del suo interesse professionale, si
rallegrava di aver perso la mia concorrenza: ma, da buo-
no ex nittiano e antico liberale, non poteva fare a meno
di disapprovare apertamente l arbitrio della questura.
Egli era, in fondo, il piú fortunato, perché godeva insie-
me di due diversi piaceri: quello materiale del suo van-
taggio, e quello morale di poter esprimere onestamente
la sua deplorazione, e la sua amicizia. Per donna Cateri-
na l avvenuto era una grave sconfitta: i suoi progetti an-
davano in fumo; la sua passione dominante era umiliata
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Carlo Levi - Cristo si è fermato a Eboli
di fronte ai suoi nemici. Faceva fuoco e fiamme.  Se
quello scemo di mio fratello,  arrivava a dire,  che è
sempre troppo debole, non si muove, andrò io stessa a
Matera, a parlare al prefetto  . Era la mia principale al-
leata. Don Luigino, lui, non sapeva come comportarsi.
Spinto dalla sorella, e dall opinione popolare, avrebbe
voluto agire, far valere le sue aderenze, «per il bene del
paese»: ma temeva, pigliando partito, di inimicarsi le au-
torità, e questo lo tratteneva dal far nulla, se non dallo
schierarsi, almeno a parole, nella fazione di donna Cate-
rina. I signori erano dunque divisi, come guelfi e ghibel-
lini; e gli uni si trovavano a far lega col popolo, mentre
gli altri restavano soli, ma con l appoggio potente del
Sacro Romano Impero di Matera. Don Luigino si barca-
menava, tra quei venti contrari: era il podestà, il tutore
della legge, qualunque essa fosse: ma della legge aveva
uno strano concetto. Una sera mandò una sua fantesca a
chiamarmi: la sua bambina aveva mal di gola, doveva es-
sere certamente una difterite. Gli feci rispondere che
non sarei andato, perché mi era vietato. Mi rimandò la
sua ambasceria: da lui potevo andare, perché egli, come
podestà, era superiore ai regolamenti. Gli dissi che gli
avrei guardato la bambina, a condizione di poter trattare
nello stesso modo, col suo consenso, qualunque conta-
dino ne avesse bisogno. Curassi intanto la bambina, e
poi si sarebbe visto: darmi una esplicita autorizzazione
non poteva, ma chiudere un occhio, sí. La difterite della
bambina non era, naturalmente, che una delle tante ma-
lattie immaginarie del padre. Cosí si stabilí quel modus
vivendi, che durò poi sempre, per cui io facevo il medico
a mezzo, con un mezzo consenso non esplicito, e soltan-
to fin dove la cosa potesse essere tenuta segreta. Avrei
preferito smettere del tutto, e non pensare piú ad altro
che ai quadri: ma era impossibile, finché fossi rimasto a
Gagliano. Naturalmente, questa situazione illegale e na-
scosta. aveva i suoi inconvenienti: tanto che ci fu ancora
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Carlo Levi - Cristo si è fermato a Eboli
qualche episodio che minacciò di riaccendere i furori
cosí faticosamente sopiti.
Una sera arrivò da Gaglianello un giovane, accompa-
gnato da altri contadini, con un braccio legato. Si era fe-
rito con un falcetto fra due dita: quando gli tolsi il legac-
cio il sangue schizzò violento contro il muro; era tagliata
l arteria interdigitale: bisognava cercarne il moncone
con una pinza, e legarla: ma non potevo fare io stesso
questa piccola operazione, perché si sarebbe risaputo.
Mandai dunque il giovane dal dottor Milillo, e gli scrissi
un bighetto, offrendomi come assistente all intervento:
credevo cioè che egli si prestasse a coprirmi col suo no-
me, e a lasciarmi fare quello di cui temevo non fosse ca-
pace. Ma il vecchio quasi si offese, e mi mandò a rispon-
dere che sapeva far da sé, e non aveva bisogno di aiuti.
L indomani per tempo, vidi tornare da me il giovane
della sera, su un asino, accompagnato dal fratello mag-
giore. Era pallido come la cera; aveva perso sangue tutta
la notte. Guardai la sua mano: il vecchio chirurgo si era
accontentato di dar un punto a caso alla pelle: non aveva
neppure cercato l arteria tagliata. Quello che sarebbe
stato facile la sera prima, era ora difficile: e io personal-
mente non potevo intervenire, vietato, nell opera altrui.
Poiché i contadini non volevano tornare da Milillo né da
GibIsco, non restava loro che prendere la macchina, la
509 dell americano, e farsi portare al piú presto a Stiglia-
no o piú lontano, in cerca di un chirurgo migliore. E co-
sí fecero: ma prima di salire sull automobile, il fratello
maggiore, un uomo deciso e ardito, raccolse una folla di
contadini, e, sulla piazza e davanti al municipio, gridò a
lungo le sue lagnanze per lo stato di cose attuale, e im-
precò e minacciò contro i signori e il podestà, e quelli di
Roma. Fu una scena memorabile: i contadini lo appro-
vavano; e si ebbe un altra giornata torbida.
La Giulia non dava nessuna, importanza al divieto. 
Fai quello che vuoi,  mi diceva,  che ti possono fare?
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E poi, se non ti lasciano fare il medico, tu curerai lo stes-
so. Dovresti fare lo stregone. Ora hai imparato tutto, sai
tutto. E quello non te lo possono impedire.
In quei mesi, in verità, tra gli insegnamenti della Giu-
lia, delle altre donne che mi venivano per casa, e quello
che vedevo ogni giorno nelle famiglie dei contadini e al
letto dei malati, ero diventato maestro in tutto quello
che concerne la magía popolare, e le sue applicazioni al-
la medicina: e avrei potuto davvero seguire il consiglio
della Santarcangelese: che ella mi dava, del resto, seria-
mente, coi cattivi, languidi e freddi occhi posati su di
me:  Dovresti fare lo stregone  . Con uguale serietà, [ Pobierz caÅ‚ość w formacie PDF ]

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